
La Cassazione entra nel merito di una questione che si trascina da anni, che interessa per di più i produttori dei rifiuti ma anche i gestori ai fini di una corretta consulenza per i primi, quella dell’obbligo per chi trasporta i propri rifiuti non pericolosi ad iscriversi all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, se pur sempre in procedura semplificata.
Con la sentenza n. 2290, del 19 gennaio 2018, la Cassazione Penale ha finalmente chiarito il punto: chi trasporta, anche occasionalmente, i propri rifiuti non pericolosi è obbligato ad iscriversi all’Albo Gestori (categoria 2bis), anche per un singolo trasporto.
Nella sentenza si fa riferimento anche alla procedura semplificata di iscrizione, come definita dal comma 8 dell’art. 212 del D.L.vo 152/2006, relativamente ai produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di gestione e raccolta dei propri rifiuti e ai produttori di rifiuti pericolosi che la effettuano in quantità non eccedenti 30 kg o 30 litri al giorno, per i quali si consente una iscrizione all’Albo agevolata (comunicazione senza garanzie finanziarie), a condizione che tali rifiuti costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa.
L’importanza della questione è ben evidente se si considera che la mancata iscrizione, o comunicazione di cui sopra, rende il trasporto abusivo e pertanto sanzionato come attività di gestione rifiuti non autorizzata (art. 256 del D.Lgs.152/2006).
Inoltre la Cassazione aggiunge che per integrare il reato è sufficiente anche il singolo trasporto abusivo che “si consuma in occasione di ogni singolo trasporto effettuato da soggetto non autorizzato“, mentre se il trasporto è continuato e organizzato integra addirittura la fattispecie ben più grave di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 260).
“Anche l’occasionale attività di trasporto di rifiuti non pericolosi, prodotti nell’esercizio della propria attività di impresa, richiede l’iscrizione nell’Albo Nazionale Gestori Ambientali“, così concludendo la Corte ci fornisce questa certezza interpretativa utile per non incorrere nel rischio di gravi reati.
Qui di seguito la sentenza.
Trasporto occasionale di propri rifiuti non pericolosi: serve l’iscrizione all’Albo?
Categoria: Rifiuti
Autorità: Cass. Pen. Sez. III
Data: 19/01/2018
n. 2290
Chi trasporta, anche occasionalmente, rifiuti non pericolosi prodotti nell’esercizio della propria impresa è, comunque, tenuto ad iscriversi all’ Albo nazionale gestori ambientali, ai sensi dell’art. 212 del D.Lgs. 152/2006, anche quando si tratti dell’iscrizione secondo la procedura semplificata descritta al comma 8, che presuppone una comunicazione. Diversamente, la mancata comunicazione o iscrizione configura la fattispecie illecita di gestione non autorizzata di rifiuti, di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) del decreto citato, che, trattandosi di un reato istantaneo, si consuma anche solo con un singolo trasporto effettuato da un soggetto non autorizzato. Laddove, invece, l’attività abusiva di trasporti risultasse continuativa ed organizzata, si configurerebbe un’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, sanzionata all’art. 260.
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Ritenuto in fatto
1.Con sentenza del 3 febbraio 2017, la Corte d’appello di Torino ha respinto il gravame proposto personalmente dall’odierno ricorrente, confermando la sentenza del Tribunale di Asti del 14 dicembre 2015, che l’aveva condannato alla pena di 1.800 Euro di ammenda per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per aver effettuato abusivamente attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi (per lo più rottami ferrosi), conferendoli all’impianto di recupero M. Srl di Costigliole d’Asti, a partire dall’anno 2012.
2.Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso l’imputato personalmente, deducendo un unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.In particolare, si deduce violazione dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. per essersi la Corte d’appello pronunciata nel merito a fronte di un’impugnazione che, riguardando una sentenza non appellabile per essere stata inflitta la sola pena dell’ammenda, si sarebbe dovuta qualificare come ricorso per cassazione, contenendo tutti i presupposti di quest’ultimo.
4.Nell’atto d’impugnazione denominato “atto d’appello” proposto personalmente dal D. il 28 gennaio 2016 avverso la citata sentenza del Tribunale di Asti, infatti, egli lamentava, con un primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale per essere stato ritenuto il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006 benché i rifiuti smaltiti fossero relativi alla propria attività di imprenditore edile con conseguente integrazione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 258, comma 4, d.lgs. 152/2006; con un secondo motivo, deduceva il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere il giudice di primo grado ritenuto lo svolgimento di un’attività strutturata e organizzata di raccolta e trasporto dei rifiuti in base all’unico rilievo che la stessa avrebbe fruttato al suo autore circa 2.000 Euro l’anno.
5.Nell’odierno ricorso, il sig. D. chiede quindi che la Corte voglia annullare senza rinvio la sentenza d’appello e giudicare sull’impugnazione proposta contro la sentenza di primo grado, qualificandola come ricorso per cassazione.
Considerato in diritto
1.Il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino è fondato, avendo quel giudice svolto il giudizio d’appello benché la sentenza di primo grado – che aveva applicato la sola pena dell’ammenda – non fosse appellabile giusta la previsione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. A norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. – trattandosi peraltro di impugnazione avente ad oggetto motivi apparentemente riconducibili all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. – la Corte territoriale si sarebbe dovuta limitare a trasmettere gli atti alla Corte di cassazione in omaggio al principio di conservazione sancito nella citata disposizione.
Ed invero, è assolutamente consolidato, e dev’essere qui ribadito, il principio secondo cui, in tema di impugnazioni, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente (Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221; Sez. 5, n. 7403/2014 del 26/09/2013, Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 del 08/04/2013, Arena, Rv. 257117.
2. La conseguenza è che la sentenza d’appello dev’essere annullata senza rinvio, dovendo questa Corte trattenere l’impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado, riqualificandola come ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. (v., ex multis, Sez. 5, n. 13905 del 08/02/2017, B., Rv. 269597; Sez. 7, n. 15321/2017 del 06/06/2016, Boggione, Rv. 269696).
Detta impugnazione – ancorché suscettibile di conversione in quanto presenta apparentemente i requisiti di sostanza (già si è detto dei motivi dedotti) e di forma (è stata presentata personalmente dall’imputato prima della modifica dell’art. 613, comma 1, cod. proc. pen. operata con art. 1, comma 63, legge 23 giugno 2017, n. 103) – è tuttavia inammissibile.
3.Nel primo motivo di ricorso, pur facendosi apparente questione di erronea applicazione della legge penale, si deduce in realtà un motivo in fatto, vale a dire che i rifiuti di cui è stato accertato il trasporto ed il conferimento allo stabilimento M. S.r.l. di Costigliole d’Asti – svariate tonnellate di rottami ferrosi conferiti in 15 occasioni, tra il febbraio ed il 20 dicembre 2012, con un ricavo complessivo di circa 2.000 Euro — non fossero prodotti da terzi, ma provenissero dall’esercizio dell’attività di imprenditore edile svolta dall’imputato. Il motivo è dunque innanzitutto inammissibile, poiché afferente a questioni di merito insuscettibili di valutazione da parte di questa Corte.
In ogni caso lo stesso è manifestamente infondato poiché anche l’occasionale attività di trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti nell’esercizio della propria attività d’impresa richiede l’iscrizione nell’Albo nazionale gestori ambientali, sia pur nell’apposita sezione di cui all’art. 212, comma 8, d.lgs. 152/2006 e secondo la procedura semplificata ivi descritta, che presuppone una comunicazione. L’inadempimento di tali obblighi di comunicazione e iscrizione integra, per pacifico orientamento, la contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006 (Sez. 3, n. 26435 del 23/03/2016, Pagliuchi, Rv. 267660, secondo cui «nelle ipotesi di trasporti occasionali o episodici di rifiuti propri non pericolosi, risponde del reato di cui all’art. 256, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 2006, chiunque vi provveda con mezzi propri e non autorizzati, anziché attraverso imprese esercenti servizi di smaltimento iscritte all’Albo nazionale dei gestori ambientali»)
4.Come si comprende dalla massima appena citata, manifestamente infondato — e dunque del pari inammissibile – è pure il secondo motivo di ricorso che censura la motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui non avrebbe congruamente motivato il carattere organizzato e continuativo dell’attività di trasporto rifiuti svolta dal D.. Ed invero, il reato ascritto è istantaneo e, con riguardo alla condotta del trasporto rifiuti contestata all’imputato, si consuma in occasione di ogni singolo trasporto effettuato da soggetto non autorizzato (Sez. 3, n. 8979 del 02/10/2014, Cristinzio e a., Rv. 262514; Sez. 3, n. 21655 del 13/04/2010, Hrustic, Rv. 247605), posto che una continuativa ed organizzata attività abusiva di trasporti, ricorrendone gli altri presupposti, potrebbe invece integrare il ben più grave delitto di cui all’art. 260, comma 1, d.lgs. 152/2006 (Sez. 3, n. 26614/2013 del 12/07/2012, Trevisan, Rv. 257075).
5.Alla declaratoria di inammissibilità dell’originario ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
[omissis]