
In Inghilterra chiudono ristoranti a ritmo di record: nei primi nove mesi di quest’anno hanno cessato l’attività in 1123, più di quelli che hanno dovuto abbandonare nell’intero 2017, che erano stati 1023. Ne dà notizia il Times di Londra, assegnando la colpa alla volubilità del pubblico e, indirettamente, ai social network.
Naturalmente non dipende tutto da quello. Le chiusure record di ristoranti sono, in un certo senso, il prezzo da pagare al successo del settore, cresciuto a livelli vertiginosi negli ultimi due decenni di globalizzazione.
Prova ne sia che nella capitale si trovano oggi tutte le gastronomie del pianeta, a condizioni per tutte le tasche, dal super costoso al super economico.
Tanti ristoranti vuole anche dire concorrenza spietata, a cui solo i migliori sopravvivono, come è inevitabile quando c’è ampia scelta. Un secondo fattore è conseguenza del primo: poiché quello della ristorazione è un business in ascesa, salgono anche i prezzi degli affitti dei locali. Che in certe strade, per esempio nel centro di Londra, sono proibitivi: per cui resiste soltanto chi può fare grandi numeri, come clientela e come guadagni.
Ma un terzo motivo delle chiusure record, secondo il Times, è che la gente non si accontenta più, vuole continuamente gusti nuovi e una ristorazione sempre più di nicchia. Una volta a Londra uno poteva decidere di cenare in un ristorante italiano. Poi è stata la volta delle cucine regionali: sarda o toscana, napoletana o emiliana, e così via. Adesso ci sono ristoranti dove si mangia soltanto polenta, in tutte le salse, per così dire. Vince chi inventa di continuo qualcosa di nuovo, o meglio chi reinventa la vecchia tradizione.
E infine sul costante desiderio di novità influiscono anche i social network. Gli utenti che postano su Instagram foto del cibo che mangiano hanno bisogno di stimoli sempre nuovi, cioè di piatti, ambientazione, atmosfera in continua evoluzione. Ecco perché quello che oggi sembra inedito può diventare obsoleto in breve tempo, in una continua rincorsa a sorprendere. Anche se poi nel lungo termine è la qualità a fare la differenza.